D02-01. Introduzione

I FONDAMENTI BIBLICI DI UN PROFETISMO MODERNO

 

Di Frank. B. Holbrook

Biblical Research Institute

Aprile 1982

Il dono profetico ha il suo fondamento nel bisogno di comunicazione tra la Deità e la famiglia umana caduta nel peccato. L’occultismo e la categoria del falso profetismo sono due sistemi che hanno agito, in tutta la storia umana, per ingannare e sviare gli ignoranti e gli incauti dal modo corretto di comunicare con Dio. D’altra parte, le modalità comunicative di Dio – fondamentalmente il dono profetico – sono delineate chiaramente nelle Scritture (Numeri 12:6; Amos 3:7; Luca 1:70).

Quattro parole (tre ebraiche e una greca) sono impiegate nelle Scritture per indicare lo strumento umano che interviene in tale forma di comunicazione. Ro’eh (1 Samuele 9:9; Isaia 30:10) e il più consueto chozeh (2 Samuele 24:11; Amos 7:12; 2 Re 17:13; ecc.) si riferiscono entrambi alla nozione di “vista” e sono tradotti comunemente con “veggente”. Sembrano esprimere l’idea che Dio apra gli “occhi”- alla comprensione del profeta – qualunque sia l’informazione o il messaggio che voglia trasmettere per mezzo del profeta.

Il significato della parola successiva, che è anche quella usata più spesso, vale a dire nabi, con il suo equivalente greco prophetes, lo si ritrova nei testi che seguono:

“L’Eterno disse a Mosè: ‘Vedi, io ti ho stabilito come Dio per il faraone, e tuo fratello Aaronne sarà il tuo profeta. Tu dirai tutto quello che ti ordinerò e tuo fratello Aaronne parlerà al faraone …’” (Esodo 7:1,2).

“Tu gli parlerai e gli metterai le parole in bocca. Io sarò con la tua bocca e la bocca sua, e vi insegnerò quello che dovrete fare. Egli parlerà per te al popolo; e così ti servirà da bocca e tu sarai per lui come Dio” (Esodo 4:15,16).

Da quanto espresso nei testi citati, nei quali Mosè e Aaronne dovevano rispettivamente impersonare il ruolo di Dio e di profeta, è evidente che il profeta (nabi) era considerato un portavoce designato da Dio stesso. Nella versione dei Settanta (Septuaginta), il termine che in questo caso sta al posto dell’ebraico nabi è prophetes, che ritroviamo anche nel Nuovo Testamento e dal quale deriva la parola profeta nella nostra lingua.

Prophetes è una parola composta dalla preposizione pro, che ha il significato di “dinanzi” – o “al posto di”, come in questo esempio – e dal verbo phemi, che vuol dire “parlare”. Quindi, in senso generale, il profeta è il portavoce di un altro. Ma, nel contesto biblico, il vero profeta è portavoce e interprete di Dio, cioè è un comunicatore divinamente ispirato, un interprete o un portavoce della Divinità. In tal modo i termini nabi – prophetes sottolineano l’aspetto della trasmissione proprio del ruolo profetico. Considerate complessivamente, le quattro parole disegnano un ruolo e una funzione unici: un profeta è colui che riceve delle comunicazioni da parte di Dio e ne trasmette le intenzioni al suo popolo.

Risulta quindi prevedibile che l’idea del parlare per Dio possa assumere la diversa sfumatura di predicare per Dio. Di conseguenza, alcuni ritengono che il dono della profezia nel Nuovo Testamento a volte si riferisca più semplicemente all’esposizione della parola nella predicazione (Lenski, p. 760, su Romani 12:6). Alcuni lo interpretano come il “dono della predicazione ispirata” (International Critical Commentary (ICC) su 1 Corinzi 13:2, p.287), o di “una potente predicazione” (ICC su 1 Corinzi 12:10, p.266). Tuttavia, dal contesto di 1 Corinzi 12-14 , risulta chiaro, sebbene l’azione del “profetizzare” possa talora assumere la forma di una predicazione efficace (1 Corinzi 14:3), che solo la predicazione basata sulla rivelazione divina corrisponde pienamente alla nozione di profetismo (1 Corinzi 14:30) e non quella che si limita alla semplice chiarificazione delle Scritture con l’aiuto dello Spirito, cosa che può capitare a ogni ministro che parla per Dio.

Il Nuovo Testamento attesta una differenza tra il semplice ministero della Parola e il ministero profetico, tra l’“insegnante” e il “profeta” (Efesi 4:11; 1 Corinzi 12:28). La predicazione di Barnaba e Paolo sui temi della salvezza si rassomiglia molto. Ma mentre l’uno parlava fondandosi sull’autorità della Parola scritta, l’altro lo faceva con l’autorità addizionale della rivelazione divina (Galati 1:11,12).

Se alcuni studiosi ritengono che “l’azione profetica” (propheteuo) nel Nuovo Testamento si riferisca talvolta alla predicazione, si deve ammettere che una categoria di persone, le quali ricevettero e trasmisero rivelazioni specifiche e dirette da Dio, ebbero la funzione vera e propria di profeti. (Luca 1:25-38; Atti 11:27,28; 13:1; 15:32; 21:9). In che cosa consistette la loro funzione?